Love kills, scars you from the start: dall’indipendenza alla dipendenza

por | Feb 14, 2021 | 0 Comentarios

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“L’amore uccide, ti ferisce fin dall’inizio”. “L’amore non ti lascia solo”. Così recitano alcuni versi della famosa canzone dei Queen. 

In un mondo in cui viviamo nel mito dell’indipendenza e della solitudine universale l’amore sembra essere solo un pericolo dal quale scampare o col quale venire a patti per raggiungere una qualche meta prestabilita (una famiglia, dei figli, un lavoro), qualcosa da controllare, qualcosa di cui si ha paura. Ci avviciniamo alla festa di San Valentino e siamo pronti a celebrare le nostre solitudini, le nostre indipendenze, con regali che coprano la nostra paura. L’amore è dunque divenuto una formalità come un’altra? Si è ridotto ad un qualcosa da contenere nelle mura di una casa, in una coppia, in una piccola comunità? Ha forse perso la sua natura universale? È una perdita di tempo?

Siamo cresciuti in una cultura in cui il mito da seguire è quello dell’indipendenza economica, affettiva, del farcela da soli, abbiamo trasferito i paradigmi del ragionamento economico a quelli della società, siamo passati da una economia di mercato ad una società di mercato in cui tutto ha un prezzo, il prezzo della nostra indipendenza, o l’illusione di essa, il prezzo del tempo che è divenuto danaro.

Sono tanti i percorsi psicologici, di coaching, di crescita personale che celebrano ossessivamente la “libertà” e l’indipendenza. Tante persone ormai sono ossessionate dall’essere dipendenti affettivamente da qualcuno, è un male da curare, un male da evitare o se ci si è dentro da fuggire. Quando qualcosa non va in una relazione siamo pronti a definirla tossica, siamo pronti a fuggire subito, il rischio è… il rischio è…. morire. Ma non è forse questo l’amore? L’amore ferisce fin dall’inizio. L’innamoramento non è forse l’apertura di una ferita? L’innamorato non cerca forse il contrappunto della propria fragilità cercando la ferita dell’altro o creandola egli stesso?

Se ci pensiamo bene tutta la fase dell’innamoramento, oggi anch’essa vista in modo negativo in quanto perdita di tempo per raggiungere l’agognato legame corporeo, sovrastata da una sessualità imperante che copre il legame più profondo, eletta ad unico linguaggio degli amanti (la sessualità emancipa è il motto dal 68’ ad oggi), non è forse un ferirsi, un aprire una ferita per amare? L’innamorato si strugge nelle attese, nei silenzi, nelle paure, nei dubbi, attende dall’altro una parola che confermi che è ferito quanto lui, una ferita in cui riconosce la sua. Ecco che lì in questo incontro di ferite, di fragilità, scocca l’amore. Tanti parlano di amore come una scelta, ma ogni scelta è frutto di una ferita già aperta, l’innamoramento è già amore.

Paris
Foto: Valerio Pellegrini

Il primo appuntamento è un rischio terribile dal quale tutta la storia potrà prendere una piega o un’altra, le immagini, gli odori, i sogni e i desideri che i due si trasmettono sono frutto delle rispettive ferite che diventano comuni, universali, si trasfigurano in qualcosa che prima non erano. L’innamoramento è già un diventare dipendenti da una ferita comune, è iniziare a viverla nel profondo fino al punto in cui si sceglie, si capisce che forse quella non era una ferita ma era l’amore stesso.

Spesso nella nostra società tendiamo a vedere anche la fase dell’innamoramento come negativa, un passaggio obbligato o quasi una perdita di tempo. Il realismo vuole che l’innamoramento e l’amore siano due cose diverse, ma in realtà sono tutti e due amore, solo che il primo non si è ancora rivelato a coloro che già ci si trovano immersi dentro. L’innamoramento è una confessione di dipendenza, è un dare tempo all’amore di rivelarsi, è la ferita del vivere nel tempo dell’altro e non il nostro, entrare in un tempo eterno e non nostro.      

Paris
Foto: Valerio Pellegrini

L’emancipazione non è sessuale, non è economica, non è di potere come questa società ossessivamente rimarca ma è paradossalmente nella dipendenza, nei legami che si stabiliscono a livello spirituale, nelle relazioni. Siamo dipendenti dalle nostre ferite e da quelle degli altri. Tanti innamoramenti e amori oggi cadono proprio su questo punto, in una dipendenza non redenta, in ferite che non sono accolte. Quante volte abbiamo sentito la frase: ho bisogno dei miei spazi.

Ma cosa sono questi spazi se non il non voler ammettere a sé stessi di essere dipendenti? Il non sentirsi perdonati nell’essere dipendenti? Non c’è nulla di male nell’essere dipendenti, è proprio quello l’amore! La famosa indipendenza, o libertà, è proprio nel sentirci perdonati nella nostra dipendenza, la nostra libertà è nel perdonare il nostro non essere liberi, la pace in una relazione è ammettere che essa non è nostra e non dipende da noi, l’unione è l’accettare che uniti in realtà forse non vogliamo esserlo.

La verità è che abbiamo reso l’innamoramento e quindi l’amore una paura, o una paura di avere paura, di mostrarci deboli, da coprire con atti materiali, ma questi discendono dal legame e non viceversa. Solo quando il legame prevarrà allora saranno pieni di senso, un senso che non si deve cercare ma che si rivela alle due ferite, un senso che trascende e travalica la coppia, le mura delle case, una famiglia, una piccola comunità, un senso universale che le trasforma.

La Saine
Foto: Valerio Pellegrini

Un senso che inizia con uno sguardo o con la paura di uno sguardo, un senso che inizia con un aprire il cuore o il chiuderlo, con uno scambio di battute o con uno starsi antipatici, con la libertà, il coraggio, le paure e le ansie, con il sognare e desiderare un futuro che ancora non c’è o un futuro di cui avere paura. L’amore forse è proprio sognare/desiderare o temere un futuro che ancora non esiste ma che sappiamo esserci già, è la nostra ferita, è la nostra dipendenza dall’amore e dall’altro presente passata e futura. Recuperiamo dunque il romanticismo, forse il più reale degli amori, la confessione della nostra indigenza, della nostra mancanza, dei nostri vuoti, delle nostre resistenze, di un tempo donato senza paura perché il tempo se è già eterno come le nostre ferite, allora, non è mai perso e le nostre precomprensioni sull’altro sono solo rivelazione di noi stessi.

La chaise vide, Jardin des Tuileries, Paris
Foto: Valerio Pellegrini

Mi piace pensare all’amore facendo riferimento ad una etimologia poetica non confermata che vede l’origine della parola amore nel latino a-mors, ciò che va oltre la morte, ciò che è senza morte, forse perché l’amore è la “morte” stessa (o quello che noi chiamiamo morte ma che in realtà è vita piena). E’, come dicevamo, la nostra dipendenza stessa da esso. Siamo mendicanti di amore ossia di Dio. Allora viviamoci questa dipendenza al massimo! Viviamoci questo San Valentino come la nostra festa della dipendenza, della confessione della dipendenza dall’amore, o della paura della dipendenza dall’amore, che è Dio stesso. Viviamocela come la festa dell’accoglienza del  tempo/ferita dell’altro e quindi anche del/lla nostro/a, di un tempo che è un eterno presente. Guardiamo la nostra amata o il nostro amato con uno sguardo romantico che sa di eterno, in cui, la solitudine, dell’altro si fa parte e il fuoco nel cuore arde. Se il cantico dei cantici dice che “forte come la morte è l’amore”…. allora è proprio il caso di dire… ay amor!

Paella
Foto: Valerio Pellegrini
Valerio Pellegrini

Valerio Pellegrini

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