Ciò che caratterizza il dibattito politico a livello globale è il dualismo. Quello a cui assistiamo, difatti, è un continuo scontro divisivo in cui si è persa la funzione essenziale della politica, quella di trovare soluzioni ai problemi reali e concreti dei cittadini. La modernità sembra sempre più essere dominata da polarizzazioni in cui una determinata visione del mondo deve prevalere sull’altra.
La dinamica noi contro gli altri la fa da padrone. Noi siamo nel giusto, le nostre idee sono quelle giuste, gli altri sono brutti e cattivi. Se si pone attenzione, a ben vedere, sembra che tutto sia una continua lotta tra bene e male e ciascuno, di volta in volta, pensa, senza alcun dubbio, di stare incarnando il bene; ovviamente, quelli che non la pensano come noi, sono il male.
La demonizzazione della posizione dell’avversario politico/dialogico non vede più in esso un essere umano con cui dialogare per trovare soluzioni ma un nemico da abbattere, pena: la sconfitta e la vittoria del male. Ma quel che qui ci si domanda è, non è forse proprio la divisione il male? Non è una visione duale del mondo il male stesso?
Non a caso la parola diavolo viene dal greco diaballo, ossia dividere, scindere. Senza tirare in ballo l’analisi di René Girard sul circolo mimetico satanico nelle dinamiche comunitarie, qui, quello che si vuole porre in evidenza, è come la politica di oggi, affetta da un economicismo vorace e, quindi, da un consenso da ricercarsi a tutti i costi, incarna sempre di più dinamiche tribali in cui lo “straniero” (colui che non condivide la visione del mondo della comunità o del partito) è scartato, deriso, bollato come ignorante, violento, pericoloso. In tal modo la comunità stessa si rende straniera a sé stessa, non accogliendo l’altro con tutto il suo bene e il suo male, rinnega, paradossalmente, il bene di cui si fa portatrice.
Si preferiscono le idee rispetto alla compassione, la giustizia rispetto alla misericordia. Purtroppo questi sembrano essere gli effetti dell’estensione del paradigma epistemologico dell’utile e del profitto, cavallo di battaglia della finanziarizzazione della società, al fenomeno politico. Ciò che non è utile nell’immediato, ciò che non porta profitto, non ci interessa. Le visioni a breve termine e gli slogan che suscitano emozioni di entusiasmo o rabbia sono la proiezione di questa visione del fenomeno politico.
Come dunque uscire da questa impasse? Può la politica recuperare il suo ruolo di concretezza e vicinanza ai veri problemi quotidiani delle persone o è destinata a rimanere nel dualismo destra/sinistra e a cascata impantanarsi in tutti gli altri dualismi: ricchi/poveri, immigrati/cittadini, bianchi/neri, eterosessuali/lgbtq, occidente/oriente, in fin dei conti del noi contro i famigerati “altri”?

Óleo: Valerio Pellegrini
Quello che sembra certo è la necessità, improrogabile, di sviluppare una visione non duale della realtà da estendersi anche alla politica. Per far ciò è necessario avere una visione che non ponga le idee al centro, ma le necessità del prossimo, una vicinanza al reale, una vicinanza alle sofferenze dell’umano, la compassione.
Come dice Papa Francesco, la realtà è più grande di qualunque idea. Le sfide sembrano enormi, dai cambiamenti climatici alle guerre, dalla pandemia alle migrazioni di massa. Per dirla con Camus le sfide che abbiamo davanti sono assurde! Forse, proprio come il filosofo francese afferma, è proprio accettando l’assurdo del mondo come mediatore della nostra visione che possiamo riuscire ad entrare nuovamente in contatto con la nostra parte più profonda, con le nostre ferite e con le ferite del mondo.
Se neghiamo l’assurdità di tutto quello che sta accadendo, il rischio è cadere, sia come singoli sia come comunità, in una strenua difesa della propria identità per trattenere quel poco che ci rimane, per paura di essere definitivamente violati da fenomeni più grandi di noi o dagli “altri”. Ecco che, con questa ossessione identitaria, ricadiamo nel dualismo io-contro-tu e noi-contro-gli altri.
Nell’accettazione dell’assurdo, della sofferenza, del dolore, della morte e della violenza che vediamo sempre più dilagare nel mondo, chissà, potremmo accedere ad una visione generativa non duale, unificata, integra, che includa anche ciò che non riteniamo generativo. Perché una visione possa essere generativa è necessario che passi per la consapevolezza e per l’accettazione delle nostre ferite, dei nostri dolori, del nostro essere miserabili: non vi è generatività senza misericordia e non vi è misericordia senza generatività.
Nell’accettare l’assurdo che ci sovrasta possiamo forse guardare nuovamente la realtà non attraverso le lenti delle nostre idee, più o meno giuste, ma cercando una risposta profonda dentro di noi. Nel respondere (rispondere in latino), da cui deriva la parola responsabilità, alle domande del presente possiamo forse guardare a noi stessi e all’altro con occhi nuovi, con occhi misericordiosi e non cadere nell’inganno della continua difesa della nostra identità, ma, piuttosto, cedere all’accoglienza dell’altro, che, come ci insegna l’ontologia relazionale e anche l’esperienza della preghiera, è già presente dentro noi stessi (per citare San Paolo potremmo dire: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me).

L’ “altro” che è la realtà e quindi l’essere umano, la terra, l’universo, non è un nemico da cui difendersi o conquistare ma è qualcuno da accogliere, la politica che non accede ad una visione misericordiosa non duale e dunque generativa della realtà rischia di rimanere asfissiata sotto il peso di idee sempre più distanti dalle ferite del mondo, è una politica in cui ogni parte non accetta di poter perdere, a livello simbolico, di morire.
Come diceva San Tommaso d’Aquino: non ratio est mensura rerum sed potius e converso. Non è la ragione la misura delle cose (la realtà), ma sono le cose (la realtà) a mettere in discussione i nostri ragionamenti.. Nella consapevolezza individuale e poi collettiva dei propri complessi non coscientizzati si può passare, nell’accoglienza dell’ego, ad un “io” generativo ecologico e, quindi, da un ego collettivo ad un “io” generativo collettivo ecologico, da un io sono ad un noi siamo. Ciò di cui abbiamo profondamente bisogno è uno sguardo mistico relazionale e aperto al trascendente, uno sguardo che accoglie, e non di uno sguardo moralista, per aprirci, scoprendoci fratres omnes (come la omonima Enciclica di Papa Francesco), alla vera carità, alla compassione e alla speranza anche a livello politico.

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