Il paradiso perduto

por | Abr 22, 2021 | 0 Comentarios

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Quando una persona nuova inizia a far parte della nostra vita, specialmente se sentiamo dei sentimenti forti verso di lei, una delle prime cose che facciamo è farle vedere le nostre foto di quando eravamo bambini. È forse un modo per dirle, guarda questo sono io, questa è la mia essenza, guarda quanto ero carino! Ora magari sono totalmente diverso e mi sento brutto però è come se volessimo sottolineare: guarda io non sono questo che vedi, sono quello! 

Il tema dell’infanzia è strettamente connesso con quello dell’origine, della nostra natura più profonda che in qualche modo sentiamo come di aver perso o che abbiamo bisogno di rivelare per mostrare agli altri chi siamo o meglio per ricordare a noi stessi chi siamo.

È interessante notare come abbiamo bisogno di ricordarci chi siamo proprio quando facciamo entrare qualcuno nella nostra vita o qualcosa la colpisce, come se l’altro, in senso ampio, con la sua sola presenza mettesse in questione la nostra identità. Effettivamente la parola “altro” deriva dal latino “alter”, l’altro per sua stessa natura altera i nostri equilibri, li mette in crisi (in decisione). È li che per supplire a questo vuoto che sperimentiamo abbiamo bisogno di tornare alle origini, mostrando foto della nostra infanzia, dei nostri amici e parenti.

Non abbiamo altro modo per dire chi siamo che, paradossalmente, mostrando un “altro” o “altri”. Si un altro, perché noi non siamo più ciò che eravamo, siamo qualcun’altro e guardando al passato vediamo un’altra persona. Nel non accettare questa “alterità” rischiamo di vivere in una continua malinconia, una a-relazionalità con noi stessi. 

Robert Doisneau, Les écoliers de la rue Damesme, 1956 @ Atelier Robert Doisneau

L’infanzia è spesso collegata anche con la gratuità dell’amore, una sorta di paradiso, proprio perché sperimentiamo un affetto incondizionato e un amore che non chiede nulla indietro. Facendo esperienza di questa gratuità che riceviamo dagli altri fondiamo il nostro modo di agire futuro.

È normale dunque vivere questa malinconia per qualcosa che non c’è più, ma forse è ancor più normale ricordare l’infanzia come luogo propulsivo per il nostro presente e futuro per cui essere grati. Ovviamente, come tutta la vita, anche l’infanzia può essere costellata da traumi più o meno grandi, è per questo che è anche necessario tutelarla con tutti i mezzi possibili.

Quel che molto spesso accade è che dall’infanzia non si esce mai, vuoi perché la consideriamo un paradiso da ritrovare, vuoi per i traumi. Per alcuni l’infanzia dura tutta la vita. La parola infanzia deriva dal verbo latino arcaico fari che significa parlare che con l’aggiunta di in- assume il significato di colui che non parla. Quante volte ancora non riusciamo a parlare, a tirare fuori la nostra voce, chi siamo, il nostro essere.

Siamo tutti infanti alle volte. È forse lasciando andare quell’ “origine” e tutte le nostre “origini” che possiamo essere di nuovo origine per noi e per gli altri, quante infanzie abbiamo vissuto e viviamo nella nostra vita che non vogliamo abbandonare. Ogni origine è però tale perché libera, non chiede il permesso, è.

Robert Doisneau, L’information scolaire, Paris 1956 © Atelier Robert Doisneau

Forse è comprendendo e accettando la libertà di ciò che ci precede e ci trascende che possiamo vivere anche noi liberi e non in una perenne sindrome dell’abbandono in cerca dei nostri paradisi perduti o dei nostri traumi, forse è così che possiamo finalmente uscire dall’infanzia e iniziare a parlare davvero, non di cosa abbiamo perduto ma della libertà che ci ha insegnato quell’assenza di ciò che ci rendeva felici nella gratuità o di ciò che ci ha traumatizzato in una continua origine.

C’è un bellissimo disegno di Snoopy che forse può riassumere questo mistero dell’infanzia: da piccolo ti insegnano a parlare. Da grande devi imparare a tacere. Stranezze dell’esistenza.

Dennis Stock, Venice Beach Rock Festival, 1968
Valerio Pellegrini

Valerio Pellegrini

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